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Non più di questo e qualcosa da raccogliere. Un titolo quanto mai curioso per un’esposizione! Invita a guardare e già segna dei limiti che chiede non vengano travalicati. L’opera recupera il suo focus. Torna quale fatto centrale, al di là di ogni impianto teorico; sebbene ve ne sia almeno uno nel motore creativo che l’artista, benché giovane, si impone. Non più di questo... è l’opera, dunque, che non mostra altro se non quel che è. E qualcosa da raccogliere... il suggerimento che risuona nel tempo sospeso tra l’immagine e l’artista; e tra l’immagine e il riguardante. Ma, in verità, che cosa c’è da raccogliere? Il dibattito è cosa postuma nel progetto presentato da Andrea Bruschi, Giacomo Forlani, Stefano Meli e Cosimo Iannunzio in occasione dell’ultimo Festival Studi di Milano. 1 Offre, nel suo insieme, il valore di  una unità espositiva che tuttavia preserva la caratura dei singoli lavori, senza annichilirla. Attenzione per l’arte tout court priva di cartigli esplicativi e giustificazioni ridondanti. Quasi che l’unico motivo con cui valga la pena compromettersi implichi, senza filtro alcuno, l’essere in opera di un’immagine che mai si può cogliere del tutto. Nel dato fittile, dipinto e velato; filmato o inciso sulla parete come in una grotta, la premonizione di una forma che ricorre al mezzo, ora traccia e insieme supporto di una pratica che rende manifeste nell’opera le sue eccedenze. Un modo fra i tanti, se ci si pensa, oppure privilegiato, dove si scova un qualcosa di arcaico. Il Nuovo, l’Autentico? Comunque, insegnava Benjamin, «questo marchio di originalità dei fenomeni» che è «oggetto di scoperta, di una scoperta che in un modo del tutto peculiare va connessa con il riconoscere»2.

 

1Festival Studi #3, 14-18 marzo 2017. (Spazio Via Abbondio Sangiorgio 6).

2 W. BENJAMIN, Il Dramma Barocco Tedesco, G. Einaudi Editore, 1971, p.29.

LUCA MAFFEO
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