top of page

Andrea Bruschi & Giulio Zanet

Tutto il tempo che serve

 28 giugno – 08 luglio 2017 

Con un testo di Tommaso di Dio

 

mercoledì 28 giugno 2017 alle ore 18,30 in via Abbondio Sangiorgio 6 (MI) la mostra conclusiva del progettoRehearsal.

Il progetto a cura di Giacomo Recalcati ha voluto fornire agli artisti la possibilità di sviluppare e rendere visibili i processi della loro ricerca. Utilizzando lo spazio di via Abbondio Sangiorgio 6 come uno “studio in vetrina”, i pittori Andrea Bruschi (Milano, 1990) e Giulio Zanet (Colleretto Castelnuovo, 1984) hanno lavorato a stretto contatto condividendo idee e traiettorie, nel tentativo di stimolare un dialogo tra loro e con l’ambiente circostante.

La mostra Tutto il tempo che serve si presenta dunque come il punto di approdo di una esperienza artistica durata quasi due mesi (11 maggio – 28 giugno 2017), e intervallata da dialoghi pubblici con il pittore Giovanni Frangi, il poeta Tommaso di Dio e il curatore e critico Stefano Castelli.

I tre incontri intitolati “Fare pittura” (25 maggio 2017), “Dire pittura” (30 maggio 2017) e “Pensare pittura” (07 giugno 2017) oltre che argomentare la normale prassi di lavoro dei due artisti milanesi, hanno interrogato il pubblico presente riguardo al valore del fare pittura oggi e, più in generale, sulle modalità e i tempi necessari alla creazione di un’opera d’arte.

Così affermava Recalcati al lancio del progetto: «Osservare, percepire, considerare, riflettere, immaginare, ricordare, giudicare, ragionare: tutti verbi che esprimono le differenti fasi dei processi di elaborazione-creazione della produzione artistica; medesime azioni che il fruitore è costretto a compiere per poter partecipare dell’opera stessa. Viene quindi a crearsi un legame molto stretto tra l’artista e lo spettatore dove la presenza del primo coincide con l’esposizione della ricerca artistica che prende forma nell’opera».

Concepita come una prima fase conclusiva del progetto Rehearsal – termine inglese che significa prove generali – l’esposizione Tutto il tempo che serve mette l’accento su quegli aspetti della produzione pittorica che normalmente non risultano visibili agli occhi dello spettatore. Andrea Bruschi e Giulio Zanet presenteranno delle opere inedite, quale sintesi di un lavoro che ha preso forma nel tempo. In quanto manifestazione di una pratica artistica che – continua Recalcati – coincide «con l’esposizione del processo che conduce dalla ricerca effettuata alla forma compiuta oggettualmente nell’opera d’arte […] Una traiettoria che coincide con l’evoluzione dal vivere alla vita».

Giulio Zanet, Andrea Bruschi: due artisti, due pittori. E i pittori hanno a che fare con la superficie, non c'è nulla da fare. Sono esseri visivi e tattili, che toccano e che vedono, che conoscono soltanto attraverso ciò che toccano e ciò che vedono. Sono ossessionati dal visibile. Potremmo dire che sono toccati dal toccare. Zanet e Bruschi, Bruschi e Zanet: due pittori, due maniere, due modalità di avvicinarsi alle superfici. Zanet e Bruschi sono due avvicinamenti, due approssimazioni alla superficie. Si tocca e si vede ciò che si tocca. Nell'opera d'arte ci si ferma, si costruisce una radura, un'attesa, una contemplazione; e in questa immobilità si fa esperienza di un attraversamento.
Seguitemi. La pittura dice: seguimi, attraversa questo specchio. La pittura dice: vieni, cammina con me, non sai ancora cosa ti aspetta oltre questo muro, ancora non conosci – non ne hai avuto il tempo– la meraviglia delle superfici. La pittura ha a che fare con la superficie, l'abbiamo detto, ma ha a che fare soprattutto col il suo superamento. Ecco: in Bruschi e in Zanet, la pittura dice il suo nocciolo. La pittura tocca la superficie, la fa, la istituisce; la pittura è nella pelle delle cose: sfiora e, accarezzando, ci fa carezzare la morbidezza e il ruvido, il pastoso e il fluido – si aggiunga ciò che si vuole: fiume nuvola dolore faccia cane – ci fa toccare le superfici grazie ad un aggregato analogico che è il colore. La pittura però istituisce questa soglia soltanto per superarla: la pittura sfonda la superficie, la capovolge, la scavalca. Con la pittura di Bruschi e di Zanet stiamo esattamente qui e prendetevi tutto il tempo che vi serve, per capirlo, per vederlo, per rifarlo dentro di voi. Andrea Bruschi e Giulio Zanet sono stati mesi dentro questa stanza, hanno saturato di tempo questi pochi metri cubi per dirsi e dirvi che le operazione dello spazio sono operazioni del tempo e serve il suo tempo, tutto il tempo che serve a fare questa magia, questa operazione alchemica, questa preghiera: trasformare prima un muro in una superficie, poi farvela vedere, poi caricarla di colori e forme soltanto affinché il vostro sguardi vi si posi e sfondi, sfondi: vada oltre in una dimensione che è soltanto dentro di voi, in una dimensione che è ciò che esattamente siete voi. Siete solo pelle? Dico a voi: siete solo superficie? O anche siete qualcosa che continuamente travalica e si apre e si chiude e chiede cerca ama e dice: ehi, sono di più di ciò che si vede! Sono qui, qui: esattamente oltre quello che vedi! E Bruschi e Zanet non dicono altro, con la pittura, con i mezzi che hanno. Ed è buffo perché in questa stanza l'uno sembra il rovescio dell'altro e invece fanno la stessa cosa, ma presa da punti di partenza diversi: sono speculari. Zanet costruisce il muro, lo ricopre e poi lo trasfigura: ci immerge in una serie continua di movimenti, lo torce e costringe il nostro sguardo a trovare la curva convessa, la spirale laddove tutto vigeva ortogonale: ci dice che la materia è viva, è costante movimento; Bruschi invece trova un muro e vi fa una finestra, la ricopre di cielo e così scopre il cielo nel solido, il muro nel soffice azzurro cangiante: scopre che il muro è nuvola, è movimento, è trasparenza, che il muro è travalicamento. I pittori hanno a che fare con la superficie, abbiamo detto; ma non possono proprio fare a meno di istruirci che le superfici non esistono: sono operazioni della mente, cangianza, salti sinaptici, trance, illusioni, schermi; basta un attimo, uno sguardo più in là, un accorto affondo del colore e della forma nel colore e tutto si tramuta ed siamo immersi nella dimensione isterica del mondo, dove tutto è virante, metamorfosi continua, urlo e pace, meraviglia, meraviglia. Dategli tutto il tempo che serve e poi riprendetevelo: provate anche voi a sfondare la superficie del mondo.

 

TOMMASO DI DIO 

Giugno 2016

bottom of page